La performance è stata presentata in occasione della mostra The Albanian Trilogy: a series of devious stratagems presso il padiglione Albania alla 56° Biennale di Venezia.
Essa vuole essere una dedica agli artisti che indagano sulla storia del loro paese, individuano gli elementi fondanti ed esplicitano il loro pensiero attraverso la realizzazione di opere d’arte. La mostra richiama il periodo cupo della dittatura comunista albanese, sotto il regime di Enver Hoxha e la sua psicosi dell’accerchiamento da parte di un nemico che non c’è e diventa follia pura, con la costruzione di centinaia di migliaia di bunker sparsi in tutto il paese, la corsa agli armamenti e l’allenamento di uomini, donne e bambini all’uso delle armi per difendere la patria. Lo scheletro della balena, scambiata per un sommergibile straniero e uccisa dalla marina militare albanese, è il simbolo di questa follia. La performance si sviluppa contemporaneamente in due spazi scenici. Il primo, interno al padiglione, rappresenta la memoria storica, un luogo etereo in cui gli avvenimenti del passato si ripetono in un loop infinito. Quattro danzatori interagiscono con le opere dell’artista Amando Lulaj, attraverso una coreografia e l’uso di suoni rumori e lamenti, studiati per amplificare l’attenzione del pubblico sulle opere stesse. Il secondo spazio, esterno, rappresenta il tempo presente. Un’attrice impersonifica la figura dell’artista, che si assume il compito di indagare gli eventi passati, rappresentati dai suoni e rumori provenienti dallo spazio interno, raccogliere testimonianze, effettuare ricerche, stendere appunti, rielaborare i dati per culminare nella realizzazione delle opere d’arte, simboleggiate da poesie scritte di getto e da un modellino di balena realizzato con fogli accartocciati.